Dopo il boom dei dispositivi personali dedicati al fitness, le aziende produttrici mirano alla conquista del segmento health. Sensori in grado di rilevare il battito cardiaco o il dosaggio di glucosio nel sangue sono già disponibili da tempo, e ci sono già in commercio dispositivi consumer che li incorporano. Ma a che punto siamo con le omologazioni? Si possono davvero impiegare per uso medico? Quali sono i rischi, e quali i vantaggi? E i problemi per la privacy?
Sono passati appena quarant’anni da quando il computer è diventato “personal”, e in questo lasso di tempo relativamente breve abbiamo assistito a una serie di rivoluzioni nelle tecnologie digitali, volte a ridurre le dimensioni, il peso, i costi degli apparecchi per aprire nuovi mercati. Così si è passati dal personal computer da tavolo al notebook portatile, poi a dispositivi come smartphone e tablet, e infine ai cosiddetti “wearable”, ovvero device studiati per essere indossati dall’utilizzatore: orologi digitali, bracciali, occhiali e via discorrendo.
I primi prodotti di questa categoria, a dire il vero, hanno un po’ stentato a farsi largo nelle preferenze del pubblico, ma questo più che per problemi della tecnologia (che pure, in parte, c’erano) si verificava per la mancanza di una “killer app”, ovvero un utilizzo specifico, un problema risolvibile solamente con dispositivi di quel tipo.
Il primo tentativo riuscito fu di Apple, che con il suo Smartwatch caratterizzò l’indossabile come un sostituto dell’orologio capace anche di fare da “terminale” per lo smartphone.